I fantastici 5: il Karate come somma di cinque pratiche

Oggi, la prefettura delle Ryūkyū possiede tre tradizioni di combattimento autoctone: Sumō di Okinawa, Karate e Kobudō. Si pensa che esse nacquero dalle basi tecniche di tre ulteriori pratiche più antiche:

  • Tīgumi o Te-gumi (手組)
    Letteralmente significa “incontro di mani”, la sua scrittura usa gli stessi due ideogrammi della parola kumi-te, ma invertiti. Originariamente era uno stile di combattimento dai molteplici aspetti (risalente ai tempi di Tametomo), e si pensa derivi dall’anteriore Jǐao-lì (角力, un metodo di lotta cinese sportivizzato nel 1928).
    Il Te-gumi era diffuso nella società isolana fin dai tempi antichi e si trasformò in una pratica ritualizzata dedicata agli dei affinché benedicessero i raccolti e la pesca; le regole erano poche, si potevano utilizzare colpi di mano e di piede, tecniche di strangolamento, controlli articolari e lotta a terra: vinceva chi era in grado di sconfiggere l’avversario bloccandolo, soffocandolo o per resa da dolore dovuto a torsioni delle articolazioni. La pratica ritualizzata del Te-gumi aveva anche lo scopo di testimoniare il coraggio degli adolescenti, segnandone il passaggio all’età adulta.
    Il Tegumi, in seguito (1956), è diventato uno sport regolamentato chiamato Ryūkyū Sumō (o Sumō di Okinawa). Da notare che, a differenza del Sumō moderno, l’attuale Sumō di Okinawa non prevede penalità se un atleta viene portato fuori dal ring o fatto cadere a terra; la vittoria viene assegnata schienando l’avversario all’interno del cerchio che delimita l’area di combattimento, per questo sono richieste tecniche più evolute e più simili a quelle della lotta libera e del Jūdō.
    In [FNK1956] Funakoshi dedica un intero paragrafo (“Reminiscenze della fanciullezza”) al Te-gumi, ricordando con affetto e nostalgia i tempi in cui lo praticava:

    “Prima di concludere…vorrei spendere qualche parola su un altro sport di Okinawa, non solo perché mi ha regalato molte ore di divertimento quando ero giovane, ma anche perché credo che mi abbia aiutato a sviluppare la forza muscolare che è così utile nel karate.
    Il nome di Okinawa per il nostro stile di lotta è «tegumi», …, ci sono poche regole e riguardano alcuni divieti: l’uso dei pugni, per esempio, per colpire l’avversario, o l’uso dei piedi e delle gambe per calciare. Gli avversari non possono nemmeno afferrarsi per i capelli o pizzicarsi l’un l’altro. E’ anche vietato colpire con la mano a spada o col gomito come nel karate. … L’incontro inizia, come nel sumo, con i due avversari che si spingono vicendevolmente. Poi, continuando, si usano tecniche di corpo a corpo e di proiezione. Una che ricordo bene è molto simile alla «ebigatama» dell’ordinaria lotta professionistica. Quando oggigiorno osservo la lotta professionistica in televisione, spesso mi viene in mente il tegumi della mia gioventù ad Okinawa.
    …Come ogni altro ragazzo di Okinawa, trascorrevo molte ore felici prendendo parte o osservando incontri di tegumi, ma fu dopo aver cominciato seriamente il karate che arrivai a capire che il tegumi offre un’opportunità unica per l’allenamento…Non posso dire ora quanto il tegumi abbia effettivamente contribuito alla mia padronanza del karate, ma sono certo che mi abbia aiutato a rafforzare la volontà.”

    Sumō di Okinawa

    Sumō di Okinawa (solo a me sembra di vedere l’applicazione di un ben determinato “salto” del kata Kankū Dai? 🙂 )
  • Tī’gwā (手小)
    La forma plebea di impatto percussivo (chiamata anche Te o Di e scritta 手) introdotta ad Okinawa dall’antico Regno del Siam (oggi Thailandia) nel corso del primo periodo di commercio interculturale. Questa forma di combattimento plebea faceva uso principalmente del pugno, dei piedi, dei gomiti, delle tibie e delle ginocchia senza disdegnare l’uso dei colpi con la testa/fronte. Nonostante la primaria attenzione focalizzata sul colpire, sul condizionamento fisico e l’arte del combattimento, il Tī’gwa poneva considerevole enfasi anche sullo sviluppo del carattere. Da notare che il secondo ideogramma (小 shō / ko, che significa piccolo, minore) ci porta alla traduzione letterale di Tī’gwa come “tecnica minore”, forse in relazione al più importante utilizzo delle armi. Il ricercatore e scrittore Mark Douglas Bishop fornisce una diversa, ma altrettanto interessante, interpretazione dell’ideogramma 小 in relazione al Tī’gwa. Lo fa raccontando un episodio della sua vita, in particolare presentando ai lettori la sua suocera di Okinawa, Ōbā:

“Alla fine degli anni ’70 Ōbā una volta mi osservò mentre stavo uscendo di casa con la tenuta per l’allenamento (il gi) in mano, e mi disse “Stai andando ad allenarti al ti-gwa?” La mia risposta un po’ sfacciata fu “Sì, Ōbā-gwa!” e non fu ben presa. Eppure penso che abbia perdonato l’insulto a causa della mia scarsa comprensione della cultura di Okinawa, …, era grammaticalmente scorretto usare il suffisso diminutivo ‘gwa’ per riferirsi a lei. Perché allora Ōbā ha aggiunto lo stesso impertinente suffisso di ‘gwa’ a ‘ti’?
Gli abitanti di Okinawa dell’età di Ōbā usavano ‘ti’ come termine generico per indicare ogni tipo di arte marziale di Okinawa. Così il karate (mano vuota), il tode (mano cinese), il kobudo (pratica delle armi) e il te di Okinawa (l’antica arte marziale della nobiltà) erano tutti confusi come ‘ti’ (o ‘te’). Il mio fastidio in quella particolare circostanza fu generato dal fatto che avevo appena iniziato ad allenarmi al Bugeikan a Shuri sotto Seitoku Higa, in particolare per imparare il ‘ti’ di Okinawa, quindi l’uso di ‘ti-gwa’ di Ōbā suonava come un tentativo di sminuire il ‘te’ di Okinawa. Successivamente, riflettendoci bene, mi sono reso conto che non lo era – tutt’altro.
Ōbā ha vissuto tante esperienze durante la sua lunga vita. Aveva protetto e guidato la sua famiglia durante la battaglia di Okinawa durata tre mesi, nascondendosi in caverne e tombe e mangiando erba. Aveva assistito a una carneficina indicibile con oltre 100.000 dei suoi confratelli massacrati. Aveva perso tutti i suoi beni materiali e aveva visto il suo intero quartiere intorno a Shuri trasformato in una sorta di deserto lunare, pieno di buche e distruzione.
Tuttavia, molto prima della guerra, una tragedia personale l’aveva colpita. Nei giorni della sua giovinezza Ōbā aveva frequentato e provato un sentimento per il suo compagno di classe Ankichi Arakaki (entrambi nati nel 1899). Era il figlio di un “bushi di Shuri” che si era allenato con Shinpan Shiroma e che aveva insegnato le tecniche del ‘te’ di Okinawa e i kata del tōde (karate) a Shoshin Nagamine, il futuro fondatore del Matsubayashi Shōrin-ryū. Era un fatto conosciuto dalla gente del luogo, e confermato anche da Ōbā, che Ankichi Arakaki morì a 28 anni dopo un trauma spaventoso [N.d.T. che gli provocò una ulcera allo stomaco] causato, si dice, da un calcio di punta che era stato sferrato dal più vecchio ed esperto artista marziale, Soko Kishimoto.
Le preoccupazioni di Ōbā nei miei riguardi erano dovute al fatto che mi stavo allenando al Bugeikan sotto Seitoku Higa. E, come sapete, quest’ultimo si è allenato, tra gli altri, con Soko Kishimoto. Quindi l’uso di Ōbā del termine “ti-gwa” era stato per me un avvertimento, un gesto di protezione, perché conosceva bene l’incredibile potenziale del ‘te’ di Kishimoto.
Come l’uso moderno delle parole inglesi, dove “cattivo” [N.d.T. “bad” nel testo originale] a volte significa “eccezionale” [N.d.T. “awesome” nel testo originale], il suffisso diminutivo “gwa” può anche avere un altrettanto significato accrescitivo inverso; e l’uso di Ōbā di ‘ti-gwa’ quel giorno significava proprio questo – ‘ti’ eccezionale.”

  • Buki’gwā (武器)
    Il termine Buki’gwā si riferisce all’utilizzo di tutte le armi bianche usate in battaglia (spada, sciabola, lancia, arco e frecce, scudo, coltello, randello e manganello) e successivamente dalle forze dell’ordine locale, durante il periodo dell’antico Regno delle Ryūkyū ad Okinawa. L’utilizzo di questi oggetti venne poi sistematizzato prima nel classico Kobu-jūtsu e poi nel moderno Kobudō.

Oltre a quelle già citate, Patrick McCarthy (Hanshi 9° Dan, ricercatore e traduttore del Bubishi e di molte altre opere) include tra le pratiche antiche presenti sul suolo di Okinawa anche il Torite (捕り手 in Giapponese, Chin Na/Qínná / 擒拿 in cinese mandarino), metodi originari del tempio di Shaolin per afferrare e controllare un aggressore, utilizzati dagli ufficiali delle forze dell’ordine, agenti di sicurezza e ufficiali carcerari nel periodo dell’antico Regno delle Ryūkyū. Il nome stesso significa catturare (擒 qín) e tenere premuto (拿 ná) e si basa su cinque principi:

1. Fēn jīn (分筋), separazione di muscoli e tendini
2. Niǔ gǔ (扭骨), dislocamento osseo
3. Bì qì (闭气), ostruzione del respiro
4. Diǎn mài (点脉), pressione delle vene e delle arterie
5. Diǎn xué (点穴), pressione sulle cavità

Il ricercatore Andreas Quast ([QST2016]) suggerisce che il moderno Taihojutsu (逮捕術, termine che si riferisce alle tecniche usate dagli agenti di polizia durante l’arresto di criminali) può essere visto come l’evoluzione del più antico Torite. Ma il karate non sarebbe tale senza un altro importantissimo tassello, il kata:

  • Kata (形 / 型 / 套路)
    I kata sono sequenze a solo di derivazione del sud del Fujian (principalmente stili della Gru, Pugno del Monaco e Mantide Religiosa del Sud), esteriormente si presentano come una serie di movimenti concatenati, una sequenza di tecniche prestabilite sia di attacco che di difesa, atte a migliorare l’abilità tecnica, la coordinazione, la potenza e la velocità. Questo sistema fu reso popolare dai Cinesi come metodo per promuovere la forma fisica, il condizionamento mentale e il benessere in generale. Sono possibili tre diverse scritture, ognuna delle quali usa un differente ideogramma:

    • 形 (kata in giapponese, xíng in cinese mandarino), che significa forma (intesa come apparenza); l’ideogramma rappresenta l’immagine del telaio di una capanna.
    • 型 (kata in giapponese, xíng in cinese mandarino), che significa stampo, modello; questo ideogramma è formato parzialmente dal precedente.
    • 套路 (tàolù in cinese), che significa letteralmente sequenza, routine

Non bisogna mai dimenticarlo, il Karate (Tōde-jutsu) proviene dalla somma di quattro elementi costituenti: Tīgumi, Tī’gwā, Torite e Tàolù. In origine, la pratica del Karate comprendeva tecniche di lotta a terra, strangolamenti e soffocamenti, intrappolamenti, leve articolari e proiezioni. Purtroppo, la maggioranza degli stili del Karate contemporaneo, invece, sono composti in prevalenza da esercizi fondamentali (kihon) estratti dalle tecniche di Tī’gwā e Tàolù.
Si giunse a questa differenziazione quando il Tōde iniziò ad essere insegnato ai giovani nelle scuole della prefettura di Okinawa, per evitare l’estrema pericolosità derivata dall’antico sistema di combattimento. In particolare i kata vennero cambiati, rimaneggiati più e più volte, con lo scopo di nascondere ed eliminare i riferimenti più espliciti alle micidiali tecniche di autodifesa che erano contenute in essi; in piena escalation militare, lo scopo principale dei kata divenne quello di formare vigorosi coscritti militari e di favorire la conformità sociale: in conclusione, uno strumento adatto all’insegnamento di massa (e non più a pochi allievi privati, come accadeva nel periodo dell’antico Regno delle Ryūkyū).


FNK1956: Gichin Funakoshi, 空手道一路 / Karate-Dō Ichirō, 1956
QST2016: Andreas Quast, “Is Taihojutsu modern Torite?”, 2016


© 2018, Matteo Muratori. All rights reserved.

Nage-waza e Shōtōkai: sempre insieme, eternamente divisi – Parte 2

Nella prima parte dell’articolo abbiamo parlato informalmente delle tecniche di proiezione (nage-waza), ed esaminando due degli scritti di Gichin Funakoshi abbiamo (ri)scoperto che il maestro codificò per iscritto ben 10 nage-waza, ormai completamente “perdute” nella maggior parte dei dōjō Shōtōkan e Shōtōkai. Nello specifico, per quanto riguarda lo Shōtōkai, abbiamo visto che il maestro Egami lanciò un appello preciso per i futuri insegnanti e istruttori, raccomandando di dare maggior attenzione alle tecniche di proiezione.
In seguito ci siamo concentrati su una delle 10 nage-waza codificate da Funakoshi, la proiezione che il maestro chiamò Koma nage (proiezione a trottola). Sempre Funakoshi, tramite i suoi scritti, ci ha spiegato che il Koma nage è una possibile applicazione del kata Tekki Shodan, di fatto facendoci capire che i movimenti dei kata nascondono anche tecniche di proiezione, non solo quindi “calci e pugni”.

In questa seconda parte proveremo a curiosare intorno a un’altra tecnica di proiezione descritta da Funakoshi, seguendo le tracce e gli indizi che ci ha lasciato O’Sensei scopriremo come concatenare un’applicazione del Bassai Dai a una di Heian Sandan per poi finire…col wrestling.

Il signore degli anelli

Ma partiamo con ordine. La tecnica di proiezione che ci interessa compare nei due libretti tecnici di Funakoshi del 1925 e 1935, sotto due diciture diverse (ma si tratta sempre della stessa nage-waza):

鎻環 / Kusariwa / “anello di catena” (Rentan Goshin Tōde-jutsu, 1925)
腕環 / Udewa / “anello di braccia” (Karate-dō Kyōhan, 1935)

Anche questa volta Funakoshi ci indica dove guardare: in entrambi i libretti tecnici ci rivela che questa nage-waza è l’applicazione di un ben preciso movimento (lo numera addirittura) del kata Passai / Bassai.

Rentan Goshin Tōde-jutsu, 1925: Funakoshi ci spiega che la proiezione Kusariwa è un’applicazione del kata Passai
Karate-dō Kyōhan, 1935: Funakoshi ci svela che la proiezione Udewa è una possibile applicazione dei movimenti 22 e 23 del kata Bassai
Karate-dō Kyōhan, 1935: Funakoshi ci svela che la proiezione Udewa è una possibile applicazione dei movimenti 22 e 23 del kata Bassai

Passiamo alla descrizione della tecnica, seguendo la struttura didattica proposta da Funakoshi in Karate-dō Kyōhan:

1. Chi attacca (Funakoshi usa di nuovo il termine 攻手 / seme-te, corrispondente al ruolo di Tori), avanza col piede destro provando ad aggredire “la vittima” con un jōdan morote tsuki (in alternativa va benissimo anche simulare una doppia presa per il bavero). Chi difende va indietro velocemente col piede sinistro e contemporaneamente blocca l’attacco con un morote jōdan uke (letteralmente “ricezione a livello alto con entrambe le mani”).

2. Immediatamente Uke si avvicina a Tori con un yori-ashi e attacca la parte laterale dell’addome dell’aggressore con un doppio tettsui (usando entrambe le mani).

3. Sfruttando lo shock provocato, Uke si avvicina ulteriormente all’aggressore tirando le sue gambe con entrambe le mani, e spingendo il suo addome con la propria spalla destra: il risultato sarà che Tori cadrà all’indietro.

Ci sono alcuni accorgimenti tecnici a cui bisogna fare attenzione. Il primo riguarda la sicurezza e ce lo dà direttamente Funakoshi: se Uke esegue la tecnica in velocità si rischia che Tori venga completamente rialzato da terra, provocando una brutta caduta all’indietro con schiena e testa. Quindi in fase di allenamento è meglio procedere con cautela, e lasciare che Tori sia libero di cadere all’indietro abbassando il sedere. Per diminuire ulteriormente i rischi, è bene che Tori abbia confidenza anche con i vari esercizi propedeutici della caduta all’indietro (ushiro ukemi).
Il secondo accorgimento tecnico è che non serve nessuna forza nel tirare le gambe di Tori, anzi in realtà non serve proprio tirarle: ciò che realmente serve è bloccarle e lasciare che la spinta di spalla sbilanci Tori all’indietro. La fisica ce lo insegna: il principio cardine di ogni nage-waza è spostare il  baricentro di chi subisce la proiezione al di fuori del suo piano di appoggio.

Tegumi o wrestling?

Giunti a questo punto diventa interessante andare a leggere un passo dell’ultimo libro (non tecnico) scritto da Funakoshi: “Karate-dō Ichirō”, 1956: so che sembrerà sconnesso da tutto quello che è stato scritto in questo articolo, ma chiedo al lettore di fare un (momentaneo) atto di fede. Verso la fine del libro, Funakoshi ci racconta alcune reminiscenze della sua fanciullezza:

Prima di concludere queste riflessioni sul Karate-dō e me stesso, vorrei spendere qualche parola su un altro sport di Okinawa…Come per il karate, le sue origini sono sconosciute, e molti abitanti ritengono che vi possa essere stata qualche specie di relazione fra i due [NdA: eccome se c’è stata!!!]. Il nome di Okinawa per questo stile di lotta è “tegumi” [NdA si scrive con gli stessi due kanji che formano la parola Kumite, ma invertiti]…gli incontri iniziano, come nel sumo, con i due avversari che si spingono vicendevolmente. Poi, continuando, si usano tecniche di corpo a corpo e di proiezione. Una che ricordo bene è molto simile alla “ebigatama” dell’odierna lotta professionistica. Quando oggigiorno osservo la lotta professionistica in televisione, spesso mi viene in mente il tegumi della mia gioventù ad Okinawa“.

Di quale proiezione (o meglio sottomissione) stava parlando Funakoshi quando citava l’ebigatame? Nella lingua Giapponese il termine 蛯 / ebi significa gamberetto, quindi stiamo parlando della “sottomissione del gamberetto”. Funakoshi si stava riferendo a quella tecnica conosciuta, nell’ambito della lotta, come “Boston crab”.

A sinistra un classico esempio di “Boston crab”. A destra un gamberetto (蛯 / ebi in Giapponese)

Credo che sia più che evidente perché Funakoshi chiamasse questa sottomissione ebigatame 🙂 Bene, ma cosa c’entra la proiezione Udewa che abbiamo visto prima con la “sottomissione del gamberetto”? Come facciamo a unire due tecniche apparentemente scollegate? In realtà è facile, basta applicare un pizzico di Heian Sandan.

Partiamo dalla situazione finale in cui si trova Uke, dopo aver proiettato a terra Tori. Se riguardiamo il punto (3) della descrizione riportata poco sopra, notiamo che Uke aveva bloccato le gambe di Tori nella parte posteriore e lo aveva proiettato all’indietro; in allenamento, almeno durante una prima fase inziale è bene che Uke tolga le mani dalle gambe di Tori non appena si accorge che sta per cadere: in questo modo Tori si sentirà libero e completamente sereno di cadere, senza la sensazione di essere “controllato” da Uke. Una volta che si è preso familiarità con la tecnica di base, nessuno vieta (anzi!) di continuare a trattenere le gambe di Tori anche dopo la caduta: in questo caso Uke si ritroverà esattamente nella posizione tipica del kata Heian Sandan:

Tipica posizione del kata Pinan / Heian Sandan

Basterà procedere da questa posizione con un passo tipico della sequenza di questo kata per ritrovarci esattamente come il wrestler raffigurato nella foto poco più sopra. Inarcando la schiena di Tori avrà luogo la “sottomissione del gamberetto”. Credo che questo tipo di applicazione risponda esaustivamente a tutte le domande che possono sorgere quando pratichiamo questa sequenza di Heian Sandan, nella fattispecie:

– chiarisce perché si adotta la posizione di kiba dachi
– spiega perché entrambe le braccia si trovano in quella specifica configurazione
– ci fa capire la ragione della rotazione del corpo di 180 gradi mentre alziamo la gamba (NB: non tutti gli stili di karate che includono questo kata contemplano una tecnica di gamba durante questo passaggio, ma ciò non inficia assolutamente l’applicazione né le varie considerazioni fatte)

Giochiamo col Kankū

A puro scopo di divertimento, possiamo aggiungere alla nostra sequenza applicativa una tecnica ulteriore, questa volta presa a prestito dal kata Kankū Dai.
Dopo aver eseguito l’ebigatame, rilassiamo la schiena del nostro partner, ed eseguiamo questa semplice sequenza di azioni:

– lasciamo andare la gamba destra (che stiamo trattenendo col nostro braccio sinistro)
– lasciamo andare la gamba sinistra (che stiamo trattenendo col nostro braccio destro), facendo attenzione ad inserire la relativa caviglia sulla cavità poplitea dell’altra gamba (la prima che abbiamo rilassato)
– ci giriamo all’indietro, sollevando la caviglia destra del nostro partner per poi controllarla col nostro inguine destro
– possiamo concludere con una sottomissione, piegando all’indietro la testa del nostro compagno

Buona sperimentazione, ma soprattutto buon divertimento!


© 2017, Matteo Muratori. All rights reserved.

Nage-waza e Shōtōkai: sempre insieme, eternamente divisi – Parte 1

Le tecniche di proiezione (投技 / nage-waza) rappresentano da sempre un importante tassello nella formazione di ogni karateka. Di per sé non costituiscono una forma principale di autodifesa, ma sono comunque una componente vitale che può affiancare e completare le tecniche ad impatto percussivo (atemi). Indipendentemente dallo stile di karate o dalla politica delle varie associazioni, le tecniche di proiezione dovrebbero comunque essere allenate un minimo, se non altro per approfondire e “gustarsi” meglio i propri kata.

Sono certo che qualcuno potrebbe obiettare e bofonchiare qualcosa del tipo “ma cosa stai dicendo?!? le proiezioni non fanno parte del karate!” oppure “è karate, mica judo!”
Per analizzare meglio la situazione, vorrei cominciare con una domanda chiara: per quale motivo in ambito Shōtōkai, da sempre una tra le più fedeli associazioni di karate in continuazione con Gichin Funakoshi, non si fa cenno alle tecniche di proiezione che il maestro ci ha lasciato nei suoi libretti tecnici? Capisco che la domanda possa sembrare imbarazzante, ma è davvero sincera e non vuole essere una critica irrispettosa. Tuttavia credo sia necessario porla ad alta voce, da allievo spero vivamente che giunga “ai piani alti” e confido che in un futuro vicino torneremo a praticare nel dōjō tutte e 10 le tecniche di proiezione che Sensei Funakoshi ci ha lasciato.

Nel karate esistono anche le tecniche di proiezione…Le tecniche di proiezione erano praticate ai miei tempi, e raccomando che vadano riconsiderate.” – Shigeru Egami, “The Heart of Karate-dō”, Kōdansha Editrice

Per il futuro, sarà opportuno dare maggiore attenzione alle tecniche di proiezione.” – Shigeru Egami, “La Via del Karate”, Luni Editrice

La storia recente

Iniziamo col dare un’occhiata a “Rentan Goshin Tōde-jutsu”, che Funakoshi pubblicò nel 1925 e che rappresenta un’edizione migliorata del suo “Ryūkyū Kenpō: Tōde” del 1922. In questi due libri Funakoshi descrive il karate che portò con sé direttamente da Okinawa, è quindi uno scorcio davvero interessante dell’antica pratica del karate (per come fu appresa da Funakoshi, non in termini generali) prima che venisse influenzata dalla “macchina da guerra” Giapponese.
Sfogliando “Rentan Goshin Tōde-jutsu”, ad un certo punto si arriva ad un capitoletto davvero interessante per la nostra indagine: 第七投技 / “Settimo: tecniche di proiezione”.

Rentan Goshin Tōde-jutsu, 1925. Parte 7: tecniche di proiezione.

“Al contrario del jujutsu, il karate può essere considerato un’arte ‘dura’, in cui non è fondamentale proiettare o atterrare un avversario; nondimeno, poiché la ‘durezza’ esiste in quanto esiste la ‘morbidezza’, combinare le due cose risulta senz’altro vantaggioso, e la loro istintiva fusione per adeguarsi alla forza di un avversario può dare risultati sorprendenti.”

Leggendo questa breve introduzione, è davvero istruttivo notare come Funakoshi collegasse sempre arte e spiritualità. La dualità durezza / morbidezza si rifà ovviamente a Yin / Yang e di riflesso si trasferisce sul connubio atemi / nage waza…meraviglioso. In “Rentan Goshin Tōde-jutsu” sono illustrate 6 tecniche di proiezione, interpretate da Funakoshi:

– 捻倒 / Nejidaoshi / “atterramento a torsione”
– 鎻環 / Kusariwa / “anello di catena”
– 谷落 / Tani otoshi / “caduta a valle”
– 槍玉 / Yaridama / “infilzare una palla”
– 頸環 / Kubiwa / “cerchio intorno al collo”
– 咽押 / Nodo osae / “pressione alla gola”

Ogni tecnica è descritta visivamente da una sola foto, e purtroppo anche la descrizione è scarna. Funakoshi porrà rimedio a questi piccoli inconvenienti nel suo libretto tecnico per eccellenza, “Karate-dō Kyōhan”. Nel sesto capitolo vengono introdotte le tecniche di proiezione:

“Il karare (mano vuota) può essere considerato un’arte marziale dura, mentre il judo è considerata un’arte marziale morbida. Tuttavia è ovvio che la durezza debba essere contenuta nella morbidezza, e la morbidezza dovrebbe essere contenuta nella durezza. In altre parole, per far si che la morbidezza sia completamente tale, è richiesta durezza, e per far si che la durezza diventi davvero tale, è richiesta morbidezza. Originariamente durezza e morbidezza erano un tuttuno. Questa è la ragione per cui il karate non consiste solamente di tecniche percussive (pugni, calci, spinte), ma anche di tecniche di proiezione e di manipolazione delle giunture articolari [Funakoshi usa il termine 逆手 / saka-te / gyaku-te]…ci sono diversi modi e varianti per eseguire le tecniche di proiezione e le tecniche di manipolazione articolare. Il punto è che il modo in cui si esegue una tecnica di proiezione dovrebbe cambiare a seconda dell’avversario.”

In “Karate-dō Kyōhan” Funakoshi presenta ben 9 tecniche di proiezione, alcune delle quali già presenti nel libro precedente ma con nomi (e kanji) differenti. Rimuove però Nodo-Osae (presente invece in “Rentan Goshin Tōde-jutsu”), cosìcché possiamo affermare che Funakoshi codificò per iscritto un totale di 10 nage-waza. Ecco l’elenco delle 9 tecniche di proiezione illustrate in “Karate-dō Kyōhan”, 1935:

– 屏風倒 / Byōbū daoshi / “capovolgere un paravento”
– 獨樂投 / Koma nage / “proiezione a trottola”
– 首環 / Kubiwa / “anello al collo”
– 片輪車 / Katawa guruma / “ruota deformata”
– 燕返 / Tsubamegaeshi / “rondine che ritorna”
– 槍玉 / Yaridama / “infilzare una palla”
– 谷落 / Taniotoshi / “cadere a valle”
– 腕環 / Udewa / “anello di braccia”
– 逆槌 / Sakatsuchi / “mazza inversa”

Nel suo ultimo libretto tecnico (Karate-dō Nyūmon, 1943), Funakoshi non include nessuna tecnica di proiezione, e nemmeno fa cenno a quelle già codificate nei libri precedenti. E’ il segno inequivocabile che i cambiamenti in seno allo Shōtōkan (il dōjō) stavano per prendere il sopravvento sul karate di Gichin Funakoshi.

La pratica

Dal punto di vista pratico, ogni tecnica di proiezione si compone di tre fasi didattiche:

– 崩し / Kuzushi: letteralmente significa “rompere” o “deformare la posizione” ed equivale alla fase di rottura dell’equilibrio dell’avversario; in poche parole lo sbilanciamento di quest’ultimo. Questa fase è particolarmente importante: è necessario rompere la posizione naturale dell’avversario prima di poterlo proiettare. Se l’avversario è in equilibrio (e magari pesa anche più di noi, o è più forte muscolarmente), difficilmente si riuscirà a proiettarlo.

– 作り / Tsukuri: letteralmente significa “adattare” o “adattarsi”, s’intende l’adattamento che viene effettuato da chi esegue la proiezione dopo avere spezzato l’equilibrio di chi la subisce

– 掛 / Kake: letteralmente significa “sospeso”, è l’atto stesso di proiettare l’avversario, ed è dunque l’applicazione della tecnica che conclude l’azione cominciata con il kuzushi e proseguita con lo tsukuri

Funakoshi, durante la spiegazione delle tecniche di proiezione, non si addentra nei particolari di queste tre fasi, bensì tende a sottolineare implicitamente un aspetto forse ancora più importante dal punto di vista pratico: non si proietta un avversario senza prima averlo colpito con una tecnica percussiva (in modo da causare uno shock inaspettato e rendere l’avversario vulnerabile). La sua disamina è in linea con il detto che “si colpisce per proiettare, si sbilancia per colpire”.
Daremo ora un’occhiata informale a due delle tecniche di proiezione che ci ha lasciato Funakoshi, la prima abbastanza semplice, la seconda (prevista per il prossimo articolo) un po’ più complessa. Ho scelto queste due nage-waza perché Funakoshi ci rivela esplicitamente che esse rappresentano l’applicazione (ōyō) di due movimenti appartenenti, rispettivamente, al kata Tekki Shodan e al kata Bassai Dai.

Koma nage (獨樂投 / “proiezione a trottola”)

Si tratta essenzialmente di un’applicazione del principio antico (macchina semplice) dell’asse della ruota.
Chi attacca (Funakoshi usa la parola 攻手 / seme-te, corrispondente al ruolo di Tori), esegue un attacco di pugno destro a livello chūdan; Uke riceve l’attacco con un ura-uke a mano aperta, indietreggiando col piede sinistro. Immediatamente Uke afferra con la mano destra il polso destro di Tori (quello che è stato bloccato) ed esegue due azioni preparatorie (assimilabili alla fase di Tsukuri):

– avanza col piede sinistro portandosi quasi dietro a Tori
– con la mano sinistra afferra la parte alta del braccio destro di Tori (a livello dei tendini del tricipite)

A questo punto Uke esegue due movimenti contemporanei (assimilabili alla fase di Kake):

– esegue un vigoroso hikite destro (prestando attenzione a torcere il più possibile il polso di Tori), accentuando la rotazione dell’anca (Funakoshi sottolinea per ben due volte di sfruttare il movimento di anca)
– torce in maniera solidale la parte alta del braccio di Tori

Se la tecnica è stata eseguita correttamente Tori dovrebbe rotolare a terra come una trottola (da cui il nome della tecnica). NB: per praticare questa proiezione in sicurezza, è bene che Tori sappia come cadere rotolando in avanti (mae ukemi).
Per quanto riguarda Uke, è importante sottolineare che il polso di Tori non deve mai essere lasciato (nemmeno dopo la proiezione a terra) bensì tenuto stretto al fianco: in questo modo Uke può chiudere lo scontro con una qualsiasi tecnica definitiva.
Solo ed esclusivamente in “Rentan Goshin Tōde-jutsu”, Funakoshi ci svela che questa tecnica di proiezione rappresenta un’applicazione del Tekki Shodan. Ma di quale preciso movimento? Funakoshi non lo dice, ma a me sembra il…kagi tsuki.

Rentan Goshin Tōde-jutsu, 1925. Funakoshi ci rivela che questa tecnica di proiezione è un’applicazione di Tekki Shodan.

Sempre in termini di tecniche di proiezione, nella prossima parte, parleremo (in realtà parlerà sempre Funakoshi) di Bassai Dai e…Wrestling. Li uniremo poi attraverso un pizzico di bunkai di Heian Sandan.

Luctoria: Nicolaes Petter, 1674

La proiezione appena descritta fa parte anche di un antico manuale di difesa personale, scritto da Nicolaes Petter e pubblicato due anni dopo la sua morte. Nicolaes Petter era un agiato commerciante di vini, ma è ricordato principalmente per essere un maestro di uno stile di difesa personale basato sulla lotta, chiamato Luctoria. I suoi allievi provenivano in gran parte dalle classi benestanti, e Nicolaes insegnava loro tecniche di lotta più “civilizzate” di quelle del comune wrestling. Il manuale è intitolato Klare Onderrichtinge der Voortreffelijke Worstel-Konst, che significa “Chiara istruzione nella magnifica arte della lotta”.
Nel sesto capitolo del manuale, si fa riferimento a una tecnica del tutto simile al Koma nage:

La prima presa è ad opera di F, che afferra G al torace; quindi G afferra F sotto i gomiti con la mano sinistra (fonte Wikipedia)
G colpisce la mano destra di F con la mano destra e lo torce finché F deve lasciar andare il petto di G. Il suo petto ora è libero, G gira completamente il braccio destro di F, mettendo la mano sinistra dietro il braccio di F, costringendo così F a cadere in avanti (fonte Wikipedia)

© 2017, Matteo Muratori. All rights reserved.

I 15 kata dello Shōtōkai

Nato nel nel distretto di Yamakawa-Cho a Shuri (Okinawa) nel 1868, Gichin Funakoshi è da tutti riconosciuto come il padre del karate moderno (anche se in realtà, nel merito, questo accreditamento andrebbe conferito molto di più al suo maestro Itosu Ankō), e di certo è stata una delle figure chiave nella divulgazione del karate in Giappone.

Quando, da Okinawa, Funakoshi si trasferì a Tōkyō nel 1922, egli insegnava originariamente 15 kata (anche se è stato ipotizzato che probabilmente ne conoscesse di più); gli stessi 15 kata di allora, formano il curriculum ufficiale (o meglio il sistema stilistico) dello Shōtōkai: Heian Shodan, Heian Nidan, Heian Sandan, Heian Yondan, Heian Godan, Tekki Shodan, Tekki Nidan, Tekki Sandan, Bassai Dai, Kankū Dai, Hangetsu, Gankaku, Jūtte, Jion, Empi.

Dando un’occhiata al sistema stilistico dell’attuale scuola Shōtōkan (JKA), si può immediatamente notare come esso comprenda molti kata in più (quasi il doppio). Sicuramente essi sono stati introdotti col tempo (e da fonti diverse da Funakoshi), ciò che è certo è che Gichin Funakoshi portò con sé da Okinawa solo i 15 kata sopraelencati. Cerchiamo di indagare meglio.

Il 6 Maggio 1922 Funakoshi giunse a Tōkyō per effettuare una dimostrazione di karate, in occasione della prima esibizione di arti marziali organizzata dal Ministero dell’Educazione. L’idea di Funakoshi era quella di tornare ad Okinawa dopo pochi giorni, ma visto il grande successo della dimostrazione e spinto dalle richieste di avere maggiori informazioni riguardo la sua arte (il karate era ancora praticamente sconosciuto in Giappone), Funakoshi rimase a Tōkyō e scrisse (in un mese o poco più!) quella che sarà la prima opera sull’arte marziale di Okinawa, “Ryūkyū Kenpō: Tōde” / 琉球拳法 唐手. In questa sua prima opera elenca una serie di 32 kata che definisce come “comunemente praticati allora” (è interessante notare come i kata elencati provengono dalle aree di Shuri, Tomari e Naha):

Pinan 1-5 (平安 初五段)
Naihanchi 1-3 (ナイハンチ 初三段)
Passai dai, shō (パッサイ 大小)
Kōsōkun dai, shō (公相君 大小)
Gojūshiho (五十四歩)
Sēshan (セーシャン)
Chintou (チントウ)
Chintē (チンテー)
Jīn (ジーン)
Jitte (ジッテ)
Jion (ジオン)
Wānshu (汪輯)
Wandau (ワンダウ)
Rōhai (ローハイ)
Juumu (ジュウム)
Wandou (ワンドウ)
Sōchin (ソーチン)
Nijushi (二十四)
Sanjuroku (三十六)
Hyakureihachi (一百零八)
Wankuwan (ワンクワン)
Kokan (コカン)
Unshu (雲手)
Sanshintō (三進等)

Nello stesso libro, però, ne analizza solo 15 (dividendoli in Shorin e Shorei), esattamente quelli del curriculum Shōtōkai. Sfortunatamente nel 1923, il tragico terremoto di Kantō distrusse i “master” originali di “Ryukyu Kenpō: Tōde”, quindi Funakoshi tornò alla carica con una nuova pubblicazione, che vide la luce nel 1925 col titolo di “Rentan Goshin Tōde-jutsu” / 錬胆護身唐手術. Si tratta sostanzialmente di una riedizione migliorata del libro precedente, in cui il cambiamento più vistoso è dettato dall’uso di svariate foto in cui Funakoshi viene immortalato durante l’esecuzione delle tecniche e dei kata. Anche in questo libro, all’interno del paragrafo intitolato “Varie forme”, Funakoshi elenca gli stessi 32 kata riportati nel libro precedente, ma di nuovo ne analizza e ne spiega nel dettaglio solamente 15: guarda un po’, gli stessi dell’attuale sistema stilistico Shōtōkai. Nel dettaglio, il paragrafo in questione riporta il seguente testo:

Gli antichi maestri limitavano le forme approfondendole, mentre i praticanti moderni sono più versatili ma superficiali. Le forme comunemente praticate oggi sono il Pin’an in cinque fasi, Naihanchi in tre fasi, Passai, diviso in Dai e Sho, Kushanku, anch’esso diviso in Dai e Sho, e varie forme individuali come Gojushiho, Sehshan, Chinto, Chinteh, Ji-in, Jitte, Jion, Wanshu, Wandau, Rohai, Jiyumu, Wando, Sochin, Nijushi, Sanjuroku, Hyaku-rei-hachi, Wanku-un, Kohan, Unshu e Sanshinto“.

La dicitura “forme comunemente praticate oggi” chiarisce che Funakoshi conosceva al tempo i nomi delle forme elencate, ma non necessariamente che li praticasse tutti né che li conoscesse nel dettaglio (cioè le applicazioni pratiche).

L’elenco dei kata citati da Funakoshi nel suo “Rentan Goshin Tōde-jutsu” (1925)

Dieci anni dopo (1935), Funakoshi pubblica il suo libretto tecnico per eccellenza: “Karate-dō Kyōhan” / 空手道教範 . In questo libro l’elenco dei 32 kata sparisce, mentre la spiegazione dei 15 kata illustrati viene migliorata; inoltre i nomi degli stessi kata vengono cambiati per essere più conformi alla lingua (e cultura) Giapponese. Quindi sappiamo per certo, documenti scritti alla mano, che fino al 1935 Funakoshi (che aveva 67 anni) insegnava e aveva profonda conoscenza dei 15 kata dello Shōtōkai.

L’elenco dei kata analizzati da Funakoshi nel suo “Karate-dō Kyōhan” (1935)
L’elenco dei kata analizzati da Funakoshi nel suo “Karate-dō Kyōhan” (1935)

Qualcosa però cambiò con l’ultimo libretto tecnico che Funakoshi pubblicò nel 1943: “Karate-dō Nyūmon” / 空手道入門. Funakoshi scrisse che “in questo periodo allo Shōtōkan stiamo studiando ed esaminando i seguenti kata”, per poi riportare un elenco di forme in cui compaiono nomi fino ad allora sconosciuti in ambito Shōtōkan: Bassai shō, Kwanku shō, Meikyō, Hakkō, Kiun, Shōto, Shōin, Hōtaku, Shōkyō. Queste forme erano già state elencate nei libri del 1922 e 1925 (sotto nomi diversi, rispettivamente: Passai shō, Kōsōkun shō, Rōhai, Sōchin, Unshu, Wankuwan, Chintē, Gojūshiho, Jīn), ma non erano mai state spiegate ed analizzate. Quindi, quando Funakoshi scrive “in questo periodo allo Shōtōkan stiamo studiando ed esaminando i seguenti kata”, significa che queste forme non erano mai state praticate né insegnate fino ad allora nello Shōtōkan. Ma da dove provengono questi kata? Chi li ha portati nello Shōtōkan, e da quali fonti? Fino ad oggi diverse scuole come la JKA ed i suoi derivati non hanno mai esplicitato l’evoluzione del proprio sistema stilistico, evitando di fornire spiegazioni in merito a come i kata sopraelencati furono inclusi nel loro stile.

La risposta breve è che questi kata furono insegnati da Kenwa Mabuni (fondatore dello Shitō-ryū) ad alcuni allievi anziani di Funakoshi. Per una disamina più approfondita si può fare riferimento alle seguenti fonti:

– Randall G. Hassell, “Shōtōkan Karate: Its History and Evolution (1984)”. Nell’intervista a Sensei Masatoshi Nakayama, il maestro confessa che lui e Gigō Funakoshi si recarono da Kenwa Mabuni prima della seconda guerra mondiale per imparare buona parte dei kata “incriminati”.
– Damian Chambers, “Kenwa Mabuni the founder of Shōtōkan?“. Nell’intervista a Kenzo Mabuni (terzogenito di Kenwa Mabuni), il maestro afferma che Gichin Funakoshi, assieme a Masatoshi Nakayama e Isao Obata (due suoi allievi anziani), andò ad allenarsi nel dōjō di Kenwa Mabuni nel 1945.
– Il “Sistema Tecnico dello Shōtōkan-ryū” di Shinkin Gima (1986)

Ora, non c’è nulla di male se gli istruttori anziani Shōtōkan (JKA) andarono ad imparare nuovi kata da Kenwa Mabuni o li importarono da altre fonti, ma non capisco queste remore nel rivelarne l’esatta provienienza.
Per quanto mi riguarda, sono orgoglioso che il sistema stilistico Shōtōkai rappresenti una continuazione reale del sistema stilistico di Gichin Funakoshi (…si lo so che però i kata sono stati un po’ modificati, l’importante è prenderne coscienza e saper “leggere” le modifiche), proprio quello che O-Sensei portò da Okinawa esattamente 95 anni fa.

“Quindi, la prossima volta che vuoi chiedere al tuo maestro Shōtōkan delucidazioni riguardo l’origine dei kata Unsu, Gojushiho o Wankan (magari in preparazione di una gara)… BUONA FORTUNA.”

© 2017, Matteo Muratori. All rights reserved.


PS: ho concentrato la disamina solo verso i kata classici/antichi (koryu-gata), lasciando volutamente da parte i kata Taikyoku, Ten No kata, Chi No kata e Gin No kata che meriterebbero una disamina a parte.

Il “Sistema Tecnico dello Shōtōkan-ryū”

Di seguito ho il piacere di pubblicare la traduzione, in lingua italiana, dell’articolo “The Technical System of Shōtōkan-ryū”, scritto dal noto ricercatore Andreas Quast. L’articolo originale, in lingua inglese, si trova al seguente indirizzo: http://ryukyu-bugei.com/?p=6610. La seguente traduzione viene pubblicata con l’esplicito consenso dell’autore originale, eventuali errori di traduzione sono da imputare solamente al sottoscritto. Le note del traduttore sono riportate tra parentesi quadre con la dicitura [NdT].


Il “Sistema Tecnico dello Shōtōkan-ryū” fu pubblicato come appendice del libro scritto da Gima Shinkin [NdT 儀間 真謹 conosciuto anche col nome di Gima Makoto] e Fujiwara Ryōzō, intitolato “Taidan – Kindai Karate-dō no Rekishi wo Kataru” [NdT che significa “Resoconto dettagliato sulla storia del karate moderno – Dialogo fra Fujiwara and Gima”] e pubblicato da “Bēsubōru Magajin-sha”, Tōkyō 1986.

Gima Shinkin (1896-1989) nacque ad Okinawa e studiò sotto la guida di Itosu Ankō e Yabu Kentsū. Dopo il diploma si trasferì a Tōkyō per studiare all’Università di Economia della capitale [NdT la futura Università Hitotsubashi]. Susseguentemente incontrò Funakoshi Gichin e ne diventò il più originale dei suoi allievi Giapponesi.

Quando Funakoshi andò a Tōkyō durante il 1922 [NdT nel mese di Maggio], Gima Shinkin era già una cintura nera di jūdō. Difatti, le famigerate “nove proiezioni perdute” di Funakoshi potrebbero essere delle versioni rielaborate di alcune proiezioni del jūdō o del jūjutsu, come nel caso di Byōbu-daoshi (= Ō-soto-gari), Ude-wa (= Morote-gari), o Yari-dama (= Kakae-nage). Peraltro, queste tecniche di proiezione non furono mai effettivamente “perdute”, ma furono tramandate nella scuola Shōtōkan-ryū di Gima.

Quando Kanō Jigorō [NdT il fondatore del Jūdō] invitò Funakoshi a presentare il Karate presso il Kōdōkan nel 1922, Gima fu il partner di Funakoshi per la dimostrazione. Gima, che era già una cintura nera di jūdō, aveva [NdT nel senso di ‘si era portato con sè’] una uniforme da jūdō con tanto di cintura nera, ma Funakoshi non aveva nessuna delle due [NdT a quel tempo l’arte del karate non faceva ancora parte del Budō, quindi non vi era nessuna codifica formale per l’abbigliamento, i gradi e il sistema delle cinture]. Invece, Funakoshi aveva preparato un’uniforme per se stesso e per Gima la notte precedente la dimostrazione, cosicchè le indossarono il giorno seguente. A Funakoshi fu inoltre data una cintura nera su ordine di Kanō [NdT in questo senso si può dire che Funakoshi sia stato la prima cintura nera di Karate in assoluto]. Questo dovrebbe essere sufficiente a dimostrare quanto Gima fosse vicino a [NdT nel senso di importante per, rispettato da] Funakoshi.

Gima fu altresì attivo nel periodo post-bellico (anni ’60) per quanto riguarda la rinascita del Karate, in importanti associazioni. Ma non ebbe molto seguito [NdT nell’articolo originale viene usato il termine ‘mainstream’] ed infatti tutti gli studenti anziani, uno dopo l’altro, abbandonarono il “movimento di Karate” principale del tempo. Furono coloro che non solo “persero” le nove proiezioni di Funakoshi ma aggiunsero kata a piacimento, crearono, abbandonarono e aggiunsero ciò che volevano o di cui avevano bisogno per reclamare medaglie e fama, confusero Dai [NdT 大] e Sho [NdT 小] continuamente [NdT l’autore si riferisce ai vari kata Passai/Bassai, Kankū/Kūsankū, etc] e ancora oggi non sono in grado di dare spiegazioni convincenti, lasciando milioni di Karateka occidentali interessati in un limbo di ignoranza e continuando ad atteggiarsi come pavoni.

Ebbene, la descrizione offerta da Gima nel suo “Sistema Tecnico dello Shōtōkan-ryū” permette di effettuare una semplice comparazione [NdT rispetto, ad esempio, all’attuale sistema stilistico Shōtōkan della JKA]. Per esempio, i seguenti 15 Kata sono i soli descritti da Gima e Fujiwara nel 1986. Non c’è alcun dubbio in merito che questi fossero gli unici e soli Kata insegnati da Funakoshi. Così la prossima volta puoi chiedere al tuo maestro delucidazioni riguardo l’origine dei kata Unsu, o Gojushiho (Dai e Sho), Passai Sho, Wankan… Buona fortuna.

Kata (15 tipi)

Heian Shodan 平安初段
Heian Nidan 平安二段
Heian Sandan 平安三段
Heian Yondan 平安四段
Heian Godan 平安五段.
Bassai (Passai Dai) 抜寒 (パッサイ・大)
Kankū (Kūsankū) 観空 (クーサンクー)
Enpi (Wanshū) 燕飛 (ワンシュウ)
Gankaku (Chintō) 岩鶴 (チントウ)
Jitte 十手 (ジッテ)
Hangetsu (Sēshan) 半月 (セーシャン)
Tekki Shodan (Naihanchi) 鉄騎初段 (ナイハンチ)
Tekki Nidan 鉄騎二段
Tekki Sandan 鉄騎三段
Jion 慈恩 (ジオン)

Oltre a questi, ci sono 6 posizioni, 14 tecniche di mano, 15 tecniche di piede, 33 tipi di kumite base [NdT eseguiti a coppia con un partner], 6 tipi di iaidori [NdT tecniche eseguite da seduti], le 9 proiezioni “perdute”, 5 difese contro il pugnale, 3 tecniche contro la spada lunga, 6 tecniche contro il bastone lungo [NdT rokushakubō, il bastone lungo circa 180cm], 14 tecniche di autodifesa per le donne e 40 punti vitali.