I fantastici 5: il Karate come somma di cinque pratiche

Oggi, la prefettura delle Ryūkyū possiede tre tradizioni di combattimento autoctone: Sumō di Okinawa, Karate e Kobudō. Si pensa che esse nacquero dalle basi tecniche di tre ulteriori pratiche più antiche:

  • Tīgumi o Te-gumi (手組)
    Letteralmente significa “incontro di mani”, la sua scrittura usa gli stessi due ideogrammi della parola kumi-te, ma invertiti. Originariamente era uno stile di combattimento dai molteplici aspetti (risalente ai tempi di Tametomo), e si pensa derivi dall’anteriore Jǐao-lì (角力, un metodo di lotta cinese sportivizzato nel 1928).
    Il Te-gumi era diffuso nella società isolana fin dai tempi antichi e si trasformò in una pratica ritualizzata dedicata agli dei affinché benedicessero i raccolti e la pesca; le regole erano poche, si potevano utilizzare colpi di mano e di piede, tecniche di strangolamento, controlli articolari e lotta a terra: vinceva chi era in grado di sconfiggere l’avversario bloccandolo, soffocandolo o per resa da dolore dovuto a torsioni delle articolazioni. La pratica ritualizzata del Te-gumi aveva anche lo scopo di testimoniare il coraggio degli adolescenti, segnandone il passaggio all’età adulta.
    Il Tegumi, in seguito (1956), è diventato uno sport regolamentato chiamato Ryūkyū Sumō (o Sumō di Okinawa). Da notare che, a differenza del Sumō moderno, l’attuale Sumō di Okinawa non prevede penalità se un atleta viene portato fuori dal ring o fatto cadere a terra; la vittoria viene assegnata schienando l’avversario all’interno del cerchio che delimita l’area di combattimento, per questo sono richieste tecniche più evolute e più simili a quelle della lotta libera e del Jūdō.
    In [FNK1956] Funakoshi dedica un intero paragrafo (“Reminiscenze della fanciullezza”) al Te-gumi, ricordando con affetto e nostalgia i tempi in cui lo praticava:

    “Prima di concludere…vorrei spendere qualche parola su un altro sport di Okinawa, non solo perché mi ha regalato molte ore di divertimento quando ero giovane, ma anche perché credo che mi abbia aiutato a sviluppare la forza muscolare che è così utile nel karate.
    Il nome di Okinawa per il nostro stile di lotta è «tegumi», …, ci sono poche regole e riguardano alcuni divieti: l’uso dei pugni, per esempio, per colpire l’avversario, o l’uso dei piedi e delle gambe per calciare. Gli avversari non possono nemmeno afferrarsi per i capelli o pizzicarsi l’un l’altro. E’ anche vietato colpire con la mano a spada o col gomito come nel karate. … L’incontro inizia, come nel sumo, con i due avversari che si spingono vicendevolmente. Poi, continuando, si usano tecniche di corpo a corpo e di proiezione. Una che ricordo bene è molto simile alla «ebigatama» dell’ordinaria lotta professionistica. Quando oggigiorno osservo la lotta professionistica in televisione, spesso mi viene in mente il tegumi della mia gioventù ad Okinawa.
    …Come ogni altro ragazzo di Okinawa, trascorrevo molte ore felici prendendo parte o osservando incontri di tegumi, ma fu dopo aver cominciato seriamente il karate che arrivai a capire che il tegumi offre un’opportunità unica per l’allenamento…Non posso dire ora quanto il tegumi abbia effettivamente contribuito alla mia padronanza del karate, ma sono certo che mi abbia aiutato a rafforzare la volontà.”

    Sumō di Okinawa

    Sumō di Okinawa (solo a me sembra di vedere l’applicazione di un ben determinato “salto” del kata Kankū Dai? 🙂 )
  • Tī’gwā (手小)
    La forma plebea di impatto percussivo (chiamata anche Te o Di e scritta 手) introdotta ad Okinawa dall’antico Regno del Siam (oggi Thailandia) nel corso del primo periodo di commercio interculturale. Questa forma di combattimento plebea faceva uso principalmente del pugno, dei piedi, dei gomiti, delle tibie e delle ginocchia senza disdegnare l’uso dei colpi con la testa/fronte. Nonostante la primaria attenzione focalizzata sul colpire, sul condizionamento fisico e l’arte del combattimento, il Tī’gwa poneva considerevole enfasi anche sullo sviluppo del carattere. Da notare che il secondo ideogramma (小 shō / ko, che significa piccolo, minore) ci porta alla traduzione letterale di Tī’gwa come “tecnica minore”, forse in relazione al più importante utilizzo delle armi. Il ricercatore e scrittore Mark Douglas Bishop fornisce una diversa, ma altrettanto interessante, interpretazione dell’ideogramma 小 in relazione al Tī’gwa. Lo fa raccontando un episodio della sua vita, in particolare presentando ai lettori la sua suocera di Okinawa, Ōbā:

“Alla fine degli anni ’70 Ōbā una volta mi osservò mentre stavo uscendo di casa con la tenuta per l’allenamento (il gi) in mano, e mi disse “Stai andando ad allenarti al ti-gwa?” La mia risposta un po’ sfacciata fu “Sì, Ōbā-gwa!” e non fu ben presa. Eppure penso che abbia perdonato l’insulto a causa della mia scarsa comprensione della cultura di Okinawa, …, era grammaticalmente scorretto usare il suffisso diminutivo ‘gwa’ per riferirsi a lei. Perché allora Ōbā ha aggiunto lo stesso impertinente suffisso di ‘gwa’ a ‘ti’?
Gli abitanti di Okinawa dell’età di Ōbā usavano ‘ti’ come termine generico per indicare ogni tipo di arte marziale di Okinawa. Così il karate (mano vuota), il tode (mano cinese), il kobudo (pratica delle armi) e il te di Okinawa (l’antica arte marziale della nobiltà) erano tutti confusi come ‘ti’ (o ‘te’). Il mio fastidio in quella particolare circostanza fu generato dal fatto che avevo appena iniziato ad allenarmi al Bugeikan a Shuri sotto Seitoku Higa, in particolare per imparare il ‘ti’ di Okinawa, quindi l’uso di ‘ti-gwa’ di Ōbā suonava come un tentativo di sminuire il ‘te’ di Okinawa. Successivamente, riflettendoci bene, mi sono reso conto che non lo era – tutt’altro.
Ōbā ha vissuto tante esperienze durante la sua lunga vita. Aveva protetto e guidato la sua famiglia durante la battaglia di Okinawa durata tre mesi, nascondendosi in caverne e tombe e mangiando erba. Aveva assistito a una carneficina indicibile con oltre 100.000 dei suoi confratelli massacrati. Aveva perso tutti i suoi beni materiali e aveva visto il suo intero quartiere intorno a Shuri trasformato in una sorta di deserto lunare, pieno di buche e distruzione.
Tuttavia, molto prima della guerra, una tragedia personale l’aveva colpita. Nei giorni della sua giovinezza Ōbā aveva frequentato e provato un sentimento per il suo compagno di classe Ankichi Arakaki (entrambi nati nel 1899). Era il figlio di un “bushi di Shuri” che si era allenato con Shinpan Shiroma e che aveva insegnato le tecniche del ‘te’ di Okinawa e i kata del tōde (karate) a Shoshin Nagamine, il futuro fondatore del Matsubayashi Shōrin-ryū. Era un fatto conosciuto dalla gente del luogo, e confermato anche da Ōbā, che Ankichi Arakaki morì a 28 anni dopo un trauma spaventoso [N.d.T. che gli provocò una ulcera allo stomaco] causato, si dice, da un calcio di punta che era stato sferrato dal più vecchio ed esperto artista marziale, Soko Kishimoto.
Le preoccupazioni di Ōbā nei miei riguardi erano dovute al fatto che mi stavo allenando al Bugeikan sotto Seitoku Higa. E, come sapete, quest’ultimo si è allenato, tra gli altri, con Soko Kishimoto. Quindi l’uso di Ōbā del termine “ti-gwa” era stato per me un avvertimento, un gesto di protezione, perché conosceva bene l’incredibile potenziale del ‘te’ di Kishimoto.
Come l’uso moderno delle parole inglesi, dove “cattivo” [N.d.T. “bad” nel testo originale] a volte significa “eccezionale” [N.d.T. “awesome” nel testo originale], il suffisso diminutivo “gwa” può anche avere un altrettanto significato accrescitivo inverso; e l’uso di Ōbā di ‘ti-gwa’ quel giorno significava proprio questo – ‘ti’ eccezionale.”

  • Buki’gwā (武器)
    Il termine Buki’gwā si riferisce all’utilizzo di tutte le armi bianche usate in battaglia (spada, sciabola, lancia, arco e frecce, scudo, coltello, randello e manganello) e successivamente dalle forze dell’ordine locale, durante il periodo dell’antico Regno delle Ryūkyū ad Okinawa. L’utilizzo di questi oggetti venne poi sistematizzato prima nel classico Kobu-jūtsu e poi nel moderno Kobudō.

Oltre a quelle già citate, Patrick McCarthy (Hanshi 9° Dan, ricercatore e traduttore del Bubishi e di molte altre opere) include tra le pratiche antiche presenti sul suolo di Okinawa anche il Torite (捕り手 in Giapponese, Chin Na/Qínná / 擒拿 in cinese mandarino), metodi originari del tempio di Shaolin per afferrare e controllare un aggressore, utilizzati dagli ufficiali delle forze dell’ordine, agenti di sicurezza e ufficiali carcerari nel periodo dell’antico Regno delle Ryūkyū. Il nome stesso significa catturare (擒 qín) e tenere premuto (拿 ná) e si basa su cinque principi:

1. Fēn jīn (分筋), separazione di muscoli e tendini
2. Niǔ gǔ (扭骨), dislocamento osseo
3. Bì qì (闭气), ostruzione del respiro
4. Diǎn mài (点脉), pressione delle vene e delle arterie
5. Diǎn xué (点穴), pressione sulle cavità

Il ricercatore Andreas Quast ([QST2016]) suggerisce che il moderno Taihojutsu (逮捕術, termine che si riferisce alle tecniche usate dagli agenti di polizia durante l’arresto di criminali) può essere visto come l’evoluzione del più antico Torite. Ma il karate non sarebbe tale senza un altro importantissimo tassello, il kata:

  • Kata (形 / 型 / 套路)
    I kata sono sequenze a solo di derivazione del sud del Fujian (principalmente stili della Gru, Pugno del Monaco e Mantide Religiosa del Sud), esteriormente si presentano come una serie di movimenti concatenati, una sequenza di tecniche prestabilite sia di attacco che di difesa, atte a migliorare l’abilità tecnica, la coordinazione, la potenza e la velocità. Questo sistema fu reso popolare dai Cinesi come metodo per promuovere la forma fisica, il condizionamento mentale e il benessere in generale. Sono possibili tre diverse scritture, ognuna delle quali usa un differente ideogramma:

    • 形 (kata in giapponese, xíng in cinese mandarino), che significa forma (intesa come apparenza); l’ideogramma rappresenta l’immagine del telaio di una capanna.
    • 型 (kata in giapponese, xíng in cinese mandarino), che significa stampo, modello; questo ideogramma è formato parzialmente dal precedente.
    • 套路 (tàolù in cinese), che significa letteralmente sequenza, routine

Non bisogna mai dimenticarlo, il Karate (Tōde-jutsu) proviene dalla somma di quattro elementi costituenti: Tīgumi, Tī’gwā, Torite e Tàolù. In origine, la pratica del Karate comprendeva tecniche di lotta a terra, strangolamenti e soffocamenti, intrappolamenti, leve articolari e proiezioni. Purtroppo, la maggioranza degli stili del Karate contemporaneo, invece, sono composti in prevalenza da esercizi fondamentali (kihon) estratti dalle tecniche di Tī’gwā e Tàolù.
Si giunse a questa differenziazione quando il Tōde iniziò ad essere insegnato ai giovani nelle scuole della prefettura di Okinawa, per evitare l’estrema pericolosità derivata dall’antico sistema di combattimento. In particolare i kata vennero cambiati, rimaneggiati più e più volte, con lo scopo di nascondere ed eliminare i riferimenti più espliciti alle micidiali tecniche di autodifesa che erano contenute in essi; in piena escalation militare, lo scopo principale dei kata divenne quello di formare vigorosi coscritti militari e di favorire la conformità sociale: in conclusione, uno strumento adatto all’insegnamento di massa (e non più a pochi allievi privati, come accadeva nel periodo dell’antico Regno delle Ryūkyū).


FNK1956: Gichin Funakoshi, 空手道一路 / Karate-Dō Ichirō, 1956
QST2016: Andreas Quast, “Is Taihojutsu modern Torite?”, 2016


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Nage-waza e Shōtōkai: sempre insieme, eternamente divisi – Parte 2

Nella prima parte dell’articolo abbiamo parlato informalmente delle tecniche di proiezione (nage-waza), ed esaminando due degli scritti di Gichin Funakoshi abbiamo (ri)scoperto che il maestro codificò per iscritto ben 10 nage-waza, ormai completamente “perdute” nella maggior parte dei dōjō Shōtōkan e Shōtōkai. Nello specifico, per quanto riguarda lo Shōtōkai, abbiamo visto che il maestro Egami lanciò un appello preciso per i futuri insegnanti e istruttori, raccomandando di dare maggior attenzione alle tecniche di proiezione.
In seguito ci siamo concentrati su una delle 10 nage-waza codificate da Funakoshi, la proiezione che il maestro chiamò Koma nage (proiezione a trottola). Sempre Funakoshi, tramite i suoi scritti, ci ha spiegato che il Koma nage è una possibile applicazione del kata Tekki Shodan, di fatto facendoci capire che i movimenti dei kata nascondono anche tecniche di proiezione, non solo quindi “calci e pugni”.

In questa seconda parte proveremo a curiosare intorno a un’altra tecnica di proiezione descritta da Funakoshi, seguendo le tracce e gli indizi che ci ha lasciato O’Sensei scopriremo come concatenare un’applicazione del Bassai Dai a una di Heian Sandan per poi finire…col wrestling.

Il signore degli anelli

Ma partiamo con ordine. La tecnica di proiezione che ci interessa compare nei due libretti tecnici di Funakoshi del 1925 e 1935, sotto due diciture diverse (ma si tratta sempre della stessa nage-waza):

鎻環 / Kusariwa / “anello di catena” (Rentan Goshin Tōde-jutsu, 1925)
腕環 / Udewa / “anello di braccia” (Karate-dō Kyōhan, 1935)

Anche questa volta Funakoshi ci indica dove guardare: in entrambi i libretti tecnici ci rivela che questa nage-waza è l’applicazione di un ben preciso movimento (lo numera addirittura) del kata Passai / Bassai.

Rentan Goshin Tōde-jutsu, 1925: Funakoshi ci spiega che la proiezione Kusariwa è un’applicazione del kata Passai
Karate-dō Kyōhan, 1935: Funakoshi ci svela che la proiezione Udewa è una possibile applicazione dei movimenti 22 e 23 del kata Bassai
Karate-dō Kyōhan, 1935: Funakoshi ci svela che la proiezione Udewa è una possibile applicazione dei movimenti 22 e 23 del kata Bassai

Passiamo alla descrizione della tecnica, seguendo la struttura didattica proposta da Funakoshi in Karate-dō Kyōhan:

1. Chi attacca (Funakoshi usa di nuovo il termine 攻手 / seme-te, corrispondente al ruolo di Tori), avanza col piede destro provando ad aggredire “la vittima” con un jōdan morote tsuki (in alternativa va benissimo anche simulare una doppia presa per il bavero). Chi difende va indietro velocemente col piede sinistro e contemporaneamente blocca l’attacco con un morote jōdan uke (letteralmente “ricezione a livello alto con entrambe le mani”).

2. Immediatamente Uke si avvicina a Tori con un yori-ashi e attacca la parte laterale dell’addome dell’aggressore con un doppio tettsui (usando entrambe le mani).

3. Sfruttando lo shock provocato, Uke si avvicina ulteriormente all’aggressore tirando le sue gambe con entrambe le mani, e spingendo il suo addome con la propria spalla destra: il risultato sarà che Tori cadrà all’indietro.

Ci sono alcuni accorgimenti tecnici a cui bisogna fare attenzione. Il primo riguarda la sicurezza e ce lo dà direttamente Funakoshi: se Uke esegue la tecnica in velocità si rischia che Tori venga completamente rialzato da terra, provocando una brutta caduta all’indietro con schiena e testa. Quindi in fase di allenamento è meglio procedere con cautela, e lasciare che Tori sia libero di cadere all’indietro abbassando il sedere. Per diminuire ulteriormente i rischi, è bene che Tori abbia confidenza anche con i vari esercizi propedeutici della caduta all’indietro (ushiro ukemi).
Il secondo accorgimento tecnico è che non serve nessuna forza nel tirare le gambe di Tori, anzi in realtà non serve proprio tirarle: ciò che realmente serve è bloccarle e lasciare che la spinta di spalla sbilanci Tori all’indietro. La fisica ce lo insegna: il principio cardine di ogni nage-waza è spostare il  baricentro di chi subisce la proiezione al di fuori del suo piano di appoggio.

Tegumi o wrestling?

Giunti a questo punto diventa interessante andare a leggere un passo dell’ultimo libro (non tecnico) scritto da Funakoshi: “Karate-dō Ichirō”, 1956: so che sembrerà sconnesso da tutto quello che è stato scritto in questo articolo, ma chiedo al lettore di fare un (momentaneo) atto di fede. Verso la fine del libro, Funakoshi ci racconta alcune reminiscenze della sua fanciullezza:

Prima di concludere queste riflessioni sul Karate-dō e me stesso, vorrei spendere qualche parola su un altro sport di Okinawa…Come per il karate, le sue origini sono sconosciute, e molti abitanti ritengono che vi possa essere stata qualche specie di relazione fra i due [NdA: eccome se c’è stata!!!]. Il nome di Okinawa per questo stile di lotta è “tegumi” [NdA si scrive con gli stessi due kanji che formano la parola Kumite, ma invertiti]…gli incontri iniziano, come nel sumo, con i due avversari che si spingono vicendevolmente. Poi, continuando, si usano tecniche di corpo a corpo e di proiezione. Una che ricordo bene è molto simile alla “ebigatama” dell’odierna lotta professionistica. Quando oggigiorno osservo la lotta professionistica in televisione, spesso mi viene in mente il tegumi della mia gioventù ad Okinawa“.

Di quale proiezione (o meglio sottomissione) stava parlando Funakoshi quando citava l’ebigatame? Nella lingua Giapponese il termine 蛯 / ebi significa gamberetto, quindi stiamo parlando della “sottomissione del gamberetto”. Funakoshi si stava riferendo a quella tecnica conosciuta, nell’ambito della lotta, come “Boston crab”.

A sinistra un classico esempio di “Boston crab”. A destra un gamberetto (蛯 / ebi in Giapponese)

Credo che sia più che evidente perché Funakoshi chiamasse questa sottomissione ebigatame 🙂 Bene, ma cosa c’entra la proiezione Udewa che abbiamo visto prima con la “sottomissione del gamberetto”? Come facciamo a unire due tecniche apparentemente scollegate? In realtà è facile, basta applicare un pizzico di Heian Sandan.

Partiamo dalla situazione finale in cui si trova Uke, dopo aver proiettato a terra Tori. Se riguardiamo il punto (3) della descrizione riportata poco sopra, notiamo che Uke aveva bloccato le gambe di Tori nella parte posteriore e lo aveva proiettato all’indietro; in allenamento, almeno durante una prima fase inziale è bene che Uke tolga le mani dalle gambe di Tori non appena si accorge che sta per cadere: in questo modo Tori si sentirà libero e completamente sereno di cadere, senza la sensazione di essere “controllato” da Uke. Una volta che si è preso familiarità con la tecnica di base, nessuno vieta (anzi!) di continuare a trattenere le gambe di Tori anche dopo la caduta: in questo caso Uke si ritroverà esattamente nella posizione tipica del kata Heian Sandan:

Tipica posizione del kata Pinan / Heian Sandan

Basterà procedere da questa posizione con un passo tipico della sequenza di questo kata per ritrovarci esattamente come il wrestler raffigurato nella foto poco più sopra. Inarcando la schiena di Tori avrà luogo la “sottomissione del gamberetto”. Credo che questo tipo di applicazione risponda esaustivamente a tutte le domande che possono sorgere quando pratichiamo questa sequenza di Heian Sandan, nella fattispecie:

– chiarisce perché si adotta la posizione di kiba dachi
– spiega perché entrambe le braccia si trovano in quella specifica configurazione
– ci fa capire la ragione della rotazione del corpo di 180 gradi mentre alziamo la gamba (NB: non tutti gli stili di karate che includono questo kata contemplano una tecnica di gamba durante questo passaggio, ma ciò non inficia assolutamente l’applicazione né le varie considerazioni fatte)

Giochiamo col Kankū

A puro scopo di divertimento, possiamo aggiungere alla nostra sequenza applicativa una tecnica ulteriore, questa volta presa a prestito dal kata Kankū Dai.
Dopo aver eseguito l’ebigatame, rilassiamo la schiena del nostro partner, ed eseguiamo questa semplice sequenza di azioni:

– lasciamo andare la gamba destra (che stiamo trattenendo col nostro braccio sinistro)
– lasciamo andare la gamba sinistra (che stiamo trattenendo col nostro braccio destro), facendo attenzione ad inserire la relativa caviglia sulla cavità poplitea dell’altra gamba (la prima che abbiamo rilassato)
– ci giriamo all’indietro, sollevando la caviglia destra del nostro partner per poi controllarla col nostro inguine destro
– possiamo concludere con una sottomissione, piegando all’indietro la testa del nostro compagno

Buona sperimentazione, ma soprattutto buon divertimento!


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